Quattro passi per Minsk: bentornati in Unione Sovietica

Spesso, viaggiando e girando per le città che erano parte dell’Unione Sovietica, mi sono chiesto come fosse la vita comune per le strade, come vestisse la gente, i modelli di auto, i colori dei vestiti, le vetrine dei negozi.

Poi sono andato a Minsk. E li ho ritrovato tutto, esattamente come era. La geometria fredda e regolare degli edifici pubblici, in ordine e pienamente efficienti, non abbandonati e cadenti come ora in Russia o Ucraina, nè coperti da palettate di stucco e colori vivaci per fare da contralto alla mancanza di cromie del brutalismo sovietico. Gli spazi ampi, deserti, mai colmati da chioschetti e distributori di Coca Cola. Semplicemente vuoti.

Non c’è nulla di futile a Minsk, una spianata ampia, dove tutte le linee sono perfettamente ortogonali e le curve bandite, la perfetta astrazione del neoclassico, la semplificazione portata all’eccesso. Molto spazio per le persone, che, impaurite da questo vuoto, quasi non figurano.

Eppure per i vicoli fuori dal centro, nei piccoli bar appena fuori la cerchia dei grandi ritrovi di stato, abbiamo trovato un’umanità interessante, di ragazzi curiosi e interessati. Parlano della grande Minsk come di un luogo dove non manca nulla, si può fare sport, bere birra, lavorare e stare con gli amici. E non c’è nulla che non vada. Tranne quando uno di loro, ammette che, essendo gay, è stato più volte pestato dalla Polizia. E mentre lo dice gli altri si girano e fingono di non ascoltare.

Allora c’è qualcosa che manca a Minsk, qualcosa che non si vede e non si tocca ma è più grande della città stessa. Un’amica di Lviv, parlando dei Bielorussi, li bollava come “i nostri cugini pavidi”.

Perchè in Ucraina di linee rette e angoli ortogonali ne sono rimasti pochi. Ma sono liberi.

Leave a comment